Immaginiamo un mondo nel quale non ci siano più scandali giudiziari. Nessun ministro costretto a dimettersi per una casa ricevuta in regalo a sua insaputa, nessun governatore della banca centrale travolto dalle sue imbarazzanti confidenze telefoniche, nessun appalto truccato, nessun massaggio di troppo, nessuna tangente sessuale, nessuna escort troppo loquace, nessuna pressione indebita, nessun imprenditore pappone, nessuna sanità corrotta, nessun politico macchiato. Più nessuna accusa e più nessun sospetto. Niente. Tutto perfettamente lindo.
Nella realtà questo non può accadere ma in Italia sì, e rischia di essere una prospettiva addirittura imminente. È l’Italia virtuale che giornali e televisioni saranno costretti a rappresentare dalle prossime settimane e per l’avvenire, qualora diventasse legge il cosiddetto «ddl Alfano».
Il decreto Alfano oltre a limitare fortemente la possibilità delle procure di indagare, proibirà alla stampa la pubblicazione di qualunque atto di indagine prima dell’inizio del processo.
Detto così può sembrare un compromesso opportuno tra tutela della privacy e garanzia per l’opinione pubblica di essere comunque informata. In realtà i tempi estenuanti della giustizia italiana trasformano questo apparente gesto di garantismo, in un vero e proprio atto di censura. Perché quando i retroscena di una vicenda giudiziaria potranno finalmente diventare noti, saranno trascorsi ormai così tanti anni (e saranno avvenute nel frattempo così tante elezioni) da far venire meno non soltanto l’interesse stesso alla pubblicazione, ma il sacrosanto diritto del cittadino di vigilare sull’inte g rità morale del proprio rappresentante eletto.
Ora provate per gioco a tagliare via dai quotidiani quegli articoli che rientrano nel decreto intercettazioni: scoprirete un’Italia diversa, senza scandali giudiziari e senza politici corrotti. Ma anche senza inchieste antimafia in corso, senza assassini rimasti impuniti (e pensiamo, uno fra tutti, a quello della giovane Elisa Claps), senza procuratori che indagano e senza magistrati che insabbiano. Un’Italia ideale insomma, perfetta, e proprio per questo finta. Poi tornate a reincollare gli stessi articoli, sfogliate il giornale e ripiomberete nella realtà.
Ecco, se quel progetto diventerà legge così come è formulato oggi, domani non ci saranno né forbici né colla per riportarci dentro il mondo reale. Resteremo sospesi in un’Italia virtuale, circondati da tanga, veline e giochi a premi. Magari più felici e sereni, ma tragicamente inconsapevoli e irrimediabilmente meno liberi.