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28 maggio 2010 5 28 /05 /maggio /2010 09:12

http://www.vitatrentina.it/var/vitatrentina/storage/images/media/imported-images/a/trento_alla_ricerca_di_cibo_tra_i_cassonetti_in_corso_iii_novembre_16_02_2/510256-1-ita-IT/trento_alla_ricerca_di_cibo_tra_i_cassonetti_in_corso_iii_novembre_16_02_2_large.jpgLa donna che con circospezione affonda l’occhio nel cestino dei rifiuti della Stazione Termini, potrebbe essere nostra madre. Ha una gonna blu, e un maglioncino nocciola ben stirato. Al collo una collanina d’oro e due fedi al dito, segno che ha perso il marito. Non ha più gli orecchini, ma i segni sui lobi lasciano pensare che deve averceli avuti fino a poco tempo fa. Forse ora stanno nella vetrina di uno di quei “compro oro” che si moltiplicano in ogni città.

Iniziai a vedere queste persone molto tempo fa, quando la vita ha iniziato a portarmi di luogo in luogo. Il primo padre lo vidi a Bologna e mi colpì perché aveva la barba fatta e la cravatta. Quattro o cinque anni, almeno, e ne scrissi perché l’idea che avevo fino ad allora era che chi finiva così per strada, dovesse essere come un personaggio uscito dalle pagine di un romanzo. Maleodorante, con la barba lunga e le unghie delle mani nere e quasi incancrenite.

Ci sono cose per cui impariamo a fare il callo, cose che col tempo non ci toccano più quasi facessero parte della vita. Una volta, mi ricordo, erano i tossici che ci venivano incontro per strada con la mano tesa; chiedevano le cento lire per il panino, e noi che potevamo gliele davamo ben sapendo che sarebbero state parte di una dose di eroina. Colpevolmente mi ricordo che imparai a dire no con la testa, senza nemmeno guardarlo negli occhi, o a infilare automaticamente la mano in tasca, quando il viso mi era familiare: un vicino di casa o un ex compagno di scuola.

Ai genitori di qualcuno che infilano il braccio dentro ai cesti dei rifiuti, però, non riesco ad abituarmi e neppure riesco a fare finta di non vederli. Anzi, spesso mi soffermo – sebbene con discrezione – e cerco in loro qualcosa di me, trovandoci qualcosa di chiunque. A volte la prima cosa che noto è il passo incerto e lento di chi soffre d’Alzheimer, una tragedia che purtroppo ho avuto modo di vedere da vicino, e so già che domani a quell’uomo che inciampa, non saranno dedicate nemmeno le quattro righe di una breve di stampa: “Dramma della solitudine … trovato morto per strada.”

Come durante il ventennio fascista sparirono dai giornali le notizie di cronaca nera, per rendere l’Italia un posto magnifico nel quale esser felici di essere capitati, così ai giorni nostri la prima cosa da far dimenticare è stata la povertà. A Orte c’era un barbone, un sardo emigrato e dimenticato al quale ogni tanto facevo visita fingendo di passare da lì per caso. Un giorno sparì e domandando in giro mi dissero che di notte, le guardie e la ASL “avevano liberato la stazione”, proprio come un tempo facevano i vigili con l’accalappiacani nelle ronde contro i randagi.

Sono stati così gli ultimi due anni della politica italiana: la negazione dell’evidenza, la creazione di un mondo immaginifico, una sorta di proiezione dell’irreale capace non solo di quietare le coscienze, ma di non lasciar trapelare nulla di quanto stesse accadendo intorno a noi, tra ruberie e associazioni a delinquere che autorizzate dal voto vuotavano le casse dello stato come un comune rapinatore vuota la cassa di una banca.

Ora ci siamo. Nei vecchi con l’Alzheimer abbandonati, con i vecchi che rubano al supermercato, che attendono la cicca della nostra sigaretta o l’ultimo pezzo di un panino di gomma impossibile da mangiare. Ci siamo, e leggiamo che il povero bimbo Nathan Falco resterà traumatizzato non per il nome impostogli dai genitori, ma per aver perso lo yacht sequestrato al padre indagato per contrabbando. Ci siamo e assistiamo al varo incrociato della finanziaria che ci toglierà la scuola, la sanità, i trasporti e i servizi minimi per la sopravvivenza, e al varo dell’yacht del figlio del tizio (un varo quasi in sordina) che comunque ci ricorda che abbiamo (NOI) per troppo tempo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, ovviamente grazie ai governi di sinistra, che come scusante è sempre la migliore.

Dal tempo del tossico e delle cento lire, però, abbiamo imparato anche a camminare per strada guardando per terra, e lo abbiamo insegnato anche ai nostri figli. E questo ci ha fregato, ci ha aiutato ad imparare a fare finta che …

Rita Pani (APOLIDE)

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